La gente purtroppo parla
- francescopetronzio
- 31 mar 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 4 giu 2021

Non sono nessuno per parlare di transessualità, intersessualità, pansessualità, omosessualità, bisessualità. Non sono nessuno come non sono nessuno tutti coloro che ne parlano senza provare le sensazioni, le emozioni, i sentimenti e le difficoltà che sono proprie di coloro che, in un’epoca in cui si progetta concretamente di creare una vita su Marte, devono lottare contro un mondo che non li accetta, li maltratta e li osteggia.
Ho fatto questa premessa prima di scrivere tutto il resto perché so che non si può parlare di qualcosa se non si è informati a riguardo, e credo di possedere quell’umiltà tale per cui dichiaro pubblicamente la mia ignoranza dal punto di vista dei pensieri e dei sentimenti che questi individui, persone come me, provano. Eppure «la gente purtroppo parla, non sa di che cosa parla»: troppe persone, enti (religiosi e laici), società, partiti politici, personaggi pubblici, con presunzione di onniscienza, si arrogano il diritto di giudicare ciò che non conoscono, di negare diritti, di aggredire verbalmente e fisicamente chi, a differenza loro eterosessuali riconosciuti come “normali” da una società ancora vincolata ai retaggi di una storia fatta di discriminazioni e di convenzioni assurde, si trova, non per propria scelta, a dover affrontare dei problemi.
Ho detto problemi non perché sia un problema avere una sessualità diversa dai canoni che vengono imposti da una morale bigotta e antiquata, ma perché in questo mondo per chi è “divers*” è un problema esternare sé stess* senza incorrere in una serie di calunnie, incomprensioni, disaccordi, derisioni, derubricazioni, violenze.
Non dovrebbe essere un problema, non è un problema, ma purtroppo lo diventa nel momento in cui una persona viene isolata dagli altri per la sua identità sessuale.
Il vero problema ce l’ha chi offende. Oggi ricorre la Giornata internazionale della visibilità transgender, e in questi giorni si sta discutendo sulla Proposta di Legge Zan, finalizzata al riconoscimento (seppur preoccupantemente tardivo) di qualche diritto in più alle vittime di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. Apriti cielo. “Un’eresia”, tuona una parte politica. “Non è una priorità”: il senatore Simone Pillon, noto paladino di idee iperconservatrici e lesive dei diritti umani, si scaglia da anni contro le identità sessuali diverse dalla propria, ignorandone la natura, ignorando le difficoltà e le sofferenze, in nome di una difesa alle minacce che, a suo dire, vengono rivolte alle “famiglie tradizionali”.
Ora, tra un’idea personale e un’idiozia c’è una bella differenza: in democrazia ognuno ha libertà di espressione, e quindi dobbiamo tenerci anche l’amico Pillon, compatirlo e ignorarlo, perché il problema è e rimane il suo. Però, laddove l’espressione di un’idea lede la libertà di un altro individuo, la democrazia pone dei paletti, perché la libertà esiste quando è appannaggio di tutti, non esiste libertà per coloro i quali la negano a un altro gruppo sociale. Questo modo di agire e di pensare rientra sotto un’altra definizione, che è quella di “dittatura”.
Il DDL Zan non obbliga gli eterosessuali a cambiare identità sessuale, solo si prefissa di concedere un riconoscimento legale a qualsiasi identità di genere. È democrazia, è umanità. Questa, non quella del caro Pillon.
Nessuno deve indirizzare i bambini a un’identità di genere, che sia l’una oppure l’altra. I bambini, pluristrumentalizzati, devono fare i bambini, e imparare semmai il rispetto e la libertà di scelta per un futuro in cui si troveranno a riconoscere la propria identità di genere.
Un altro intervento che negli scorsi giorni ha diviso la popolazione è stato quello della Chiesa cattolica, che ha dichiarato la sua intenzione di “non benedire le coppie omosessuali”.
Ora, chi non è credente non viene neppure sfiorato da una dichiarazione del genere, perché non gliene può fregar di meno di ciò che dice o non dice la Chiesa, perché le religioni dovrebbero interessare solo a chi ci crede, in particolare in uno stato laico. Dovrebbero.
Fra i credenti cristiani, in cui chi scrive rientra, l’indignazione di alcuni si scontra con l’approvazione di altri. E su questo voglio dire due parole, sia ai cattolici che ai non cattolici i quali, per colpa di qualche personaggio che rappresenta più l’istituzione che il credo, hanno sviluppato del Cristianesimo un’idea pessima.
La Chiesa è un ente che esiste da circa duemila anni. Nella sua storia ha visto susseguirsi alcuni personaggi positivi e svariati negativi: esemplari uomini di fede, di inclusione, di pace e di amore, ma anche papi che ambivano al potere temporale, papi che hanno appoggiato guerre, papi con prole, peccatori inenarrabili in posti di potere e in rappresentanza di Gesù Cristo. Ancora oggi vediamo coi nostri occhi ricchezze materiali nella casa di chi ha professato povertà e misericordia. A queste persone, uomini e peccatori, è stato concesso il diritto di sostituirsi a Cristo nel decidere per i cristiani.
Chi invece crede in Gesù Cristo sa che egli ama tutt*, indipendentemente dal fatto che siano buoni o cattivi, virtuosi o peccaminosi, omosessuali o transessuali, eccetera. Chi decide di credere in altro è libero di farlo, ma sappia che tra coloro i quali hanno stabilito e stabiliscono le “regole del buon cristiano” e hanno posto e pongono limiti all’amore di Dio c’è chi Dio non lo conosce, anzi, lo rinnega giorno dopo giorno.
Oltre alla politica e alle istituzioni religiose, contro cui è facile puntare il dito, la componente più numerosa è quella senza la quale questi enti non potrebbero esistere: le persone comuni che ancora usano la parola “gay” come un insulto, che dicono “che schifo” quando vedono due donne o due uomini passeggiare tenendosi la mano, che ridacchiano e deridono un uomo che usa lo smalto o una donna coi capelli corti, che si indignano di fronte a un bacio omosessuale in televisione, o ironizzano sulle dotazioni genitali di personaggi transessuali del mondo dello spettacolo. I peggiori sono quelli che si giustificano dicendo “Ma io scherzo”. Uno scherzo è divertente solo quando fa ridere anche gli altri, non quando ferisce. Perché poi una parola “innocente” diventa un articolo su un giornale, un dibattito in un talk show, e da lì entra nella mente delle masse e porta a una serie di convinzioni malsane, alla violenza, all’omicidio.
Il diritto è inalienabile, non è un’opinione o una posizione politica.
Il giudizio è illegittimo se proviene da chi si trova dalla parte dei fortunati, mai discriminati e mai offesi.
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