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In Colombia la polizia ha messo in atto una carneficina di manifestanti

  • Immagine del redattore: francescopetronzio
    francescopetronzio
  • 6 mag 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

A Cali la polizia sta reprimendo con la forza le proteste del popolo colombiano contro la riforma fiscale del presidente Iván Duque Márquez.


Il 5 aprile Duque presentò il disegno di legge noto come “Legge di Solidarietà Sostenibile”, che mirava ad ampliare la base dei contribuenti, abbassando la soglia reddituale per cui i cittadini avrebbero dovuto pagare le tasse. Benzina sul fuoco per una popolazione già colpita dalla profonda crisi economica causata dalla pandemia, accompagnata dalla chiusura di migliaia di fabbriche, in un anno in cui povertà e disoccupazione sono salite del 10%.


Nonostante l’insistenza del presidente nel definire le riforme come favorevoli alla Nazione e alle generazioni future e non al governo, il 28 aprile la gente è scesa in piazza per manifestare contro un progetto che in realtà sarebbe stato nient’altro che il colpo di grazia al ceto medio e povero. Infatti, la riforma avrebbe previsto l’obbligo alla dichiarazione dell’imposta sul reddito a coloro che guadagnassero più di 2,4 milioni di pesos al mese (663$), in un paese come la Colombia in cui il salario minimo è pari a 248 pesos, ovvero 12 dollari statunitensi.


Da quel giorno le strade di Cali, ma anche di Bogotà e Medellín, sono colorate di rosso, come il sangue delle 30 e più persone che sono state uccise dalle forze dell’ordine, unite a più di un centinaio di feriti. Dopo aver impiegato una così brutale repressione, il 2 maggio Duque ha ritirato la proposta di legge e firmato le dimissioni del ministro delle Finanze Alberto Carrasquilla. Ma le proteste non si fermano, e neppure le esecuzioni, testimoniate da numerose riprese video effettuate dai passanti e pubblicate sui social.


UE, USA e ONU, come atto dovuto, hanno condannato aspramente l’efferata violenza usata dai poliziotti colombiani, contro i quali sono state aperte 26 indagini disciplinari per abuso di autorità.


Da parte sua, Iván Duque Márquez ha annunciato che creerà “spazi” per i gruppi della società civile, i partiti politici e il settore privato affinché possano incontrare i rappresentanti del governo. Si spera che il dialogo aperto dal governo con i movimenti sociali porti alla cessazione dello sciopero nazionale. Intanto, tra le fila degli oppressori, si è creata una crepa fra quelli che, spinti da inconsueta umanità, non ce la fanno più ad azionare le armi contro la popolazione, e quelli che addirittura accusano i manifestanti di violenze nei propri confronti.


Le azioni delle forze armate, in Colombia, che è una repubblica presidenziale, sono comandate dal Presidente della Repubblica, ovvero lo stesso Duque che non rivendica la violenza di cui è responsabile ma apre al dialogo, mentre i “pesci piccoli”, i poliziotti – giustamente – vengono sottoposti a indagine. È ora che la politica si assuma le proprie responsabilità: nel 2017 il governo spagnolo rimase inspiegabilmente indenne da sanzioni internazionali dopo le dure repressioni ai danni dei separatisti catalani. Oggi come allora l’ONU avrebbe tutte le carte in regola per intervenire contro un governo che si è trasformato in regime. Sul piatto della bilancia le vite umane e gli interessi internazionali. Ma non tutte le vite hanno lo stesso peso.



Attenzione: i video allegati contengono scene di violenza, pertanto si sconsiglia la visione a un pubblico particolarmente sensibile.





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